Martedì 28 marzo il Consiglio europeo ha riunito i ministri dell’Energia degli stati membri e ha approvato il regolamento che dal 2035 vieta l’immatricolazione nei paesi dell’Unione di veicoli alimentati a benzina o diesel. Tuttavia, i veicoli con motori endotermici potranno essere immatricolati anche dopo il 2035 ma solo se alimentati dai carburanti sintetici, i cosiddetti eFuel, la cui produzione avviene mediante la scissione dell’acqua in idrogeno e ossigeno e la successiva combinazione dell’idrogeno con l’anidride carbonica catturata dall’atmosfera. Viene così dato seguito all’accordo tra Berlino e la Commissione Ue. I biocarburanti, prodotti con materie prime di scarto e residui vegetali e tanto cari al governo italiano, sono invece rimasti fuori dalle misure approvate. L’Italia si è astenuta, malgrado inizialmente avesse annunciato il suo voto contrario. E si sono astenute anche Romania e Bulgaria. La Polonia ha votato contro. Ne abbiamo parlato con Giuseppe Sabella, direttore di Oikonova.
Sabella, come chiedeva la Germania, gli eFuel sono stati approvati. Non così bene è andata per i biocarburanti. È una sconfitta dell’Italia?
Non credo si debba leggere in questo modo quanto è avvenuto in sede di Consiglio europeo. È naturalmente la propaganda che qualcuno ha cavalcato in modo un po’ grossolano a favorire questa lettura che è però smentita dal fatto che il governo italiano si è astenuto, non ha votato contro come invece ha fatto la Polonia. La vera novità è che il motore endotermico in qualche modo sopravviverà: i grandi investimenti sono sulle auto elettriche ma a Bruxelles si sono convinti che anche qualche tecnologia alternativa può far parte della rivoluzione verde della mobilità. Per il momento, è toccato agli eFuel – la Germania, del resto, si era mossa con molto anticipo – ma credo che anche per i biocarburanti ci saranno possibilità.
Il vicepresidente della Commissione europea, Frans Timmermans, ha scritto in un tweet che “con questo voto finale, l’Ue ha compiuto un passo importante verso la mobilità a emissioni zero”. Se l’obiettivo è la carbon neutrality, perché questa insistenza della UE sull’elettrico e questa resistenza sulle altre tecnologie valide?
Gli interessi economici di questa transizione sono tali per cui l’aspetto ambientale non è quello prioritario. Ed è, semmai, il modo con cui le Istituzioni parlano al mercato, al consumo. Del resto, il grande obiettivo del Green Deal è il consolidamento della domanda interna. Peraltro, il medesimo obiettivo è del governo americano come di quello cinese: le economie avanzate sono consapevoli della crisi del mercato globale e della necessità di far ripartire il mercato domestico. L’Europa sta dicendo ai suoi consumatori “scegliete il prodotto locale perché è migliore dal punto di vista degli standard ambientali”. Probabilmente è pure vero, ma le innovazioni tecnologiche vanno tutte nella direzione di rendere più sostenibili le produzioni, anche negli USA e anche in Cina. In realtà, l’enfasi sull’elettrico è dovuta al fatto che i grandi costruttori europei hanno deciso di investire in questa tecnologia. Volkswagen, ad esempio, su 180 miliardi di euro di investimenti previsti per il 2023-2027 ne destinerà circa due terzi ai veicoli elettrici. Oliver Blume, ad del gruppo di Wolfsburg, dice che Volkswagen produrrà veicoli soltanto elettrici già prima del 2035. La stessa cosa la dice Carlos Tavares, ad di Stellantis. Il destino della mobilità europea pare dunque tracciato dai costruttori più che dal Fit for 55, il provvedimento con cui si è deciso lo stop del motore endotermico.
Perché, secondo lei, i Grandi Costruttori hanno voluto questa spinta regolatoria?
I grandi costruttori hanno spinto per questi provvedimenti temendo che le loro filiere non restino al passo. Del resto, l’attuale riconfigurazione della globalizzazione vede accorciarsi le catene del valore, significa che gli approvvigionamenti sono più difficili di ieri. E ce ne siamo accorti eccome. È importante, quindi, che lo sforzo dell’industria locale sia coordinato. Da questo punto di vista, il Green Deal ha una funzione rilevante. Tutte le economie avanzate stanno governando questo processo, è inutile far finta che il mercato possa fare da solo. Non è così. Vi sono fasi in cui la politica economica è decisiva, questa è una di quelle. È importante però non fare errori sul piano politico perché potrebbero costarci molto cari.
Come vede la collaborazione tra Commissione europea e governo italiano?
Mi pare che le cose stiano funzionando. Teniamo conto che oggi l’Europa sta portando avanti un intervento di politica industriale che, per il suo successo, ha bisogno di valorizzare le sue risorse: in questo senso, l’Italia resta saldamente il secondo Paese manifatturiero d’Europa. La realtà è che noi, come sistema, dobbiamo essere più capaci di capire i processi di cambiamento e di dare risposte. Del resto, anche le dichiarazioni di Pichetto Fratin, presente al Consiglio, sono significative: il ministro ha detto che il riconoscimento da parte della Commissione che i veicoli col motore endotermico potranno ancora essere prodotti e che quindi contribuiranno anch’essi al raggiungimento degli obiettivi di riduzione delle emissioni “è uno sviluppo positivo”. Evidentemente ci sono speranze di includere anche i biocarburanti tra le tecnologie da salvare. Peraltro, nel nostro Paese, è Eni in particolare a produrre i biocarburanti, a Marghera e a Gela: sappiamo che la multinazionale italiana intende portare la produzione di biocarburanti a 2 milioni di tonnellate all’anno nel 2025, e a 6 milioni nel 2035. Evidentemente, negli ambienti giusti, qualche rassicurazione sul futuro dei carburanti ce l’hanno.
Anche la Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, per quanto cautamente, ha espresso soddisfazione per questo Consiglio europeo…
Al di là della trasformazione della mobilità, il Consiglio europeo aveva come ordine del giorno anche l’immigrazione, punto su cui Meloni esprime particolare soddisfazione. Inoltre, a margine del Consiglio vi è stato anche un bilaterale con la Francia e col Presidente Macron. Mi pare che non vi sia discontinuità, nelle relazioni con l’Europa, tra il governo di Mario Draghi e quello di Giorgia Meloni. Era questo un grande punto di domanda che oggi però sta dando rassicurazioni importanti. Perché, soprattutto in questa fase storica, sarebbe molto pericoloso affrontare le sfide attuali senza coesione a livello europeo. In particolare la Francia, in questo momento, è un partner molto prezioso. E non solo sul piano industriale, anche per le difficoltà interne che vivono i tedeschi.